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Di Staff
Data di pubblicazione 01/09/2018
Buongiorno a tutti, come sapete ogni tanto amiamo scrivere articoli che possano insegnare qualcosa, e questo è dedicato ai 10 miti da sfatare sulle etichette discografiche. Girano continuamente fake news, confezionate a regola d'arte per ignoranza o interesse di qualcuno. Pensiamo sia il caso di sfatarle e fare così qualcosa di utile al mondo della musica. Buona lettura!
Le etichette non sono delle banche. Detta così fa sorridere, pare un'ovvietà, ma la maggior parte dei musicisti prendono il mondo delle label come realtà finanziarie...è il sogno di molti, ma questo non vuol dire sia poi la realtà. Con la concorrenza degli studi di registrazione, che senza la mediazione delle etichette discografiche offrono un servizio indistintamente, gli artisti si ritrovano in mano prodotti "finiti" che spesso non sono radiofonici o concorrenziali: si rivolgono quindi alle label per sostanzialmente chiedere denaro. Sono talmente tanti i casi, che ci siamo chiesti se ci fosse qualcuno a dire idiozie in giro. Ci siamo documentati sul fenomeno: proprio pochi giorni fa ci siamo imbattuti in un articolo, che non linkiamo volutamente, ma che è stato redatto da una importantissima rivista online, questo articolo narrava i pro e i contro per i musicisti a lavorare con le etichette discografiche. Il problema era che tutti i contro e i pro in quell'articolo erano orientati sulla fattibilità che una label prestasse i soldi ai musicisti. Tutti i punti recitavano più o meno così:
PRO, un'etichetta può finanziarti il progetto / CONTRO, difficile oggi trovare etichette che finanzino il tuo progetto.
Negli anni Settanta, Ottanta o Novanta chi sentiva l'esigenza di fare un disco era perlopiù un musicista o una band che faceva concerti, che avevano successo, e spesso l'etichetta era in condizione di valutare, in base al successo "sul campo", e cioè live, la portata che aveva il gruppo e quindi l'investimento possibile. I casi di successo hanno poi raccontato questa storia e ci siamo tutti convinti che fosse così, dimenticando però che questa fosse la storia di band e artisti che già avevano successo...prima ancora di incontrare i manager delle label!
Oggi la maggior parte delle band e dei musicisti che si presentano alle etichette non vivono di musica e non hanno pubblico. Dare fiducia a un progetto che non ha ancora avuto successo oggi è una delle grandi sfide discografiche. Ma dare fiducia vuol dire compartecipare, con l'esperienza, il lavoro duro e anche i soldi, alla realizzazione di una storia, e questo è molto difficile da spiegare quando per qualcuno, chiedere i soldi ad una label, diventa quasi una autoaffermazione. Come a dire "sono già in grado di produrre denaro, anticipamelo".
Se la Sony e la Universal anticipano denaro solo a progetti di proprietà esclusiva, e dopo che sono passati dalle forche caudine della televisione, non è perchè in Sony e Universal sono scemi, è perchè è difficile, se non sei una star Tv, far parte di un business plan che consente l'anticipo. Così oggi le major oggi anticipano soldi alle star Tv create da loro stessi, per far rientrare i loro soldi attraverso processi già collaudati. E attenzione: se i soldi non rientrano, ti riportano da dove eri venuto. Noi seguiamo un'altra strada, e cioè quella parte di creazione di un progetto che, di solito, viene tralasciata giornalisticamente. E che potrebbe essere la soluzione per tantissimi talenti che potrebbero trovare proprio quello che stanno cercando. Molti di questi talenti fanno da soli, compiendo un grande errore.
Quando sentite dire "è arrivato al successo da solo, senza un'etichetta discografica" è sempre una balla. Perchè poi vai a verificare, e la casistica è un numero molto vicino allo zero. Può darsi che si arrivi al successo di pubblico senza una "indie" (etichetta indipendente), è vero, è il caso di molti Youtuber e di alcuni musicisti che seguono un trend già collaudato (quindi mode create in precedenza da Etichette), e per il quale esiste un pubblico attivo, magari perchè in quel momento è una moda. Ma ci sono due cose da dire: la prima è che un piccolo o grande successo di pubblico sarebbe proprio la condizione ideale per presentarsi ad un'Etichetta, la seconda è che a livelli alti, senza l'aiuto di qualcuno che lo fa "di lavoro", non si va da nessuna parte.
L'etichetta discografica di mestiere fa i dischi. Sa come farli e sa come venderli. Fare da solo significa registrarti il disco da solo, senza consigli e pareri, mixaggio e master, pagarti ufficio stampa e promoter da solo, farti il sito che nessuno ti regala, spendere un sacco di soldi in promozione online quando esistono soggetti che le aste le sanno fare meglio di te (perchè è il loro lavoro) e ti doppiano il tasso di CVP, in scioltezza. Con un po' di impegno, magari, te lo triplicano. Da solo significa quindi diventare tu stesso, almeno per un progetto, un'etichetta discografica. Puoi fare successo? Sì. Ma che senso ha spendere migliaia di euro da solo, lavorando anni, quando ci sono soggetti professionali che ti fanno spendere meno tempo, meno denaro, e ti prestano la loro professionalità acquisita in anni per raggiungere il tuo stesso obiettivo? Non si sa.
Anche perchè, facendo finta che un artista riesca comunque a farsi un ottimo prodotto da solo, perchè ha la fortuna di essere supportato da tutte le professionalità necessarie, i canali discografici in ogni paese del mondo sono frutto di tanta, tantissima esperienza sul campo. Le etichette lavorano tutto il giorno per interagire con queste persone. Se da solo raggiungi questi canali non vuol dire che puoi far successo da solo, perchè comunque avrai bisogno dei professionisti, prima poi. Inoltre quella del "successo da solo", detto fra noi, è una balla che ti raccontano le pubblicità di servizi per fare soldi con i tentativi e alcuni uffici stampa di artisti mega sponsorizzati per raccontarla in maniera romantica. Guarda caso, più artisti ci sono che imitano i casi di successo, più i progetti di punta acquisiscono fans. Spiegheremo questo concetto in maniera approfondita in uno dei prossimi articoli, dedicato alla media exposure e ai "prosumer" del mondo musicale: sarà molto interessante.
Abbiamo scritto un intero articolo anni fa su questo tema, vi invitiamo a leggerlo qui. L'articolo ha circa tre anni, alcuni esempi possono essere sono invecchiati ma la sostanza è rimasta invariata. Per farvi una sintesi, l'articolo spiega come sia sciocco andare a spendere soldi negli studi prima di avere un accordo con una label. Lasciate che sia la label a contattare lo studio, a scegliere lo studio, a minimizzare la spesa ed orientarvi nella maniera migliore. Se invece avete già scelto lo studio perchè volete fortemente registrare in quel posto, a prescindere da chi finirà o pubblicherà il disco, concentratevi allora sulle performance ed a portare a casa le tracce separate della registrazione fatta a regola d'arte (che è il vero lavoro degli studi di registrazione), piuttosto che sul disco finito. Etichette e Studi di Registrazione sono partner che ricoprono due ruoli differenti nel processo creativo, non sono ruoli alternativi fra loro.
Questa idea che l'Etichetta sia da valutare sugli artisti in "roster" è un errore. Ha senso in termini giornalistici, per tratteggiare una storia del passato, ma non certo in termini discografici. Il roster significa "la squadra", in italiano possiamo dire "gli artisti sotto contratto". Ma cosa vuol dire sotto contratto? Ci sono mille tipi di contratti: il contratto editoriale (cedi parte del diritto d'autore) e il contratto fonografico (cedi parte dei proventi dalle vendite) per esempio: nessuno di questi accordi sono sulla persona, riguardano tutti uno, o più, brani musicali.
Se c'è un Roster, a meno che non sia una parola messa lì a caso, significa che gli artisti in questione stanno utilizzando contratti artistici. Quante sono le label che fanno contratti artistici? Un numero piuttosto limitato. Perchè quindi associare la label al suo "roster" di artisti?
Musicraiser, Zimbalam, Bandcamp e Soundcloud sono alternative alle case discografiche? No. Questi soggetti non sono accomunati da nessuna caratteristica, se non quella di essere citati sempre come "alternative" alle case discografiche. Ma non lo sono, e tra l'altro sono tutte cose molto diverse. Musicraiser ad esempio è un ottimo modo per presentarsi ad una casa discografica con un buon budget per fare un grande lavoro. Zimbalam è un collector distributivo, Soundcloud è un social per aspiranti musicisti che si commentano fra di loro e Bandcamp che è un rivenditore, è un servizio a cui possono rivolgersi tantissime Etichette Discografiche. Ce ne sono mille altri. Sono alternative alle Etichette Discografiche? No. Tantochè sia Soundcloud, sia tanti altri, se NON utilizzati come alternative alle Etichette Discografiche si rivelano strumenti e tool utilissimi, sia per crearsi un portfolio, sia per la condivisione privata.
Da un certo punto di vista se ti fai arrivare il pesce a casa e te lo cucini non hai bisogno di andare al ristorante, ma è inutile dire che al ristorante ci vai per vivere un altro tipo di esperienza. E questo non toglie che un ristorante possa usare quegli stessi servizi. Chiaro no? Se c'è un mercato florido e potente è proprio quello delle piattaforme dove è possibile caricare musica gratuitamente, sono business basati sulla quantità. E ci cascano tutti perchè per un artista farsi sentir dire "non hai bisogno di un'Etichetta, non hai bisogno di spendere" è la medicina. Peccato che poi i sogni rimangano nel cassetto.
La maggior parte degli artisti ha un amico grafico, un fotografo "che fa le foto gratis", lo studio di registrazione lo han sempre invece "strapagato", e così via. Sono poi convinti di sapere vincere le aste sui social con il bottone "promuovi" di Facebook. In realtà il nostro è uno dei lavori più difficili e complessi che esistano proprio perchè l'Etichetta riassume in sè tutte queste esperienze professionali e non solo: deve pure coordinarle fra loro in un progetto unitario. E aggiungiamo, minimizzando i costi per l'artista, investendoci.
Essendo proprio la label ad avere, come si suol dire, il quadro completo sottomano, è lei che ha modo di riequilibrare gli investimenti. Ci può essere un progetto carente dal punto di vista fotografico ma a buon punto dal punto di vista audio, e viceversa. Pianificare questi lavori è anche una scelta strategica. Per capirci: una brava e solida Etichetta Discografica ti porta dove vuoi. Per arrivare dove vuoi o hai un budget, o sei abbastanza popolare da potertelo fare anticipare. La label è quindi capace di orientare il budget, ed è capace di compartecipare a queste spese. Ma non può farlo gratuitamente. Se lo fa, è molto probabile che chi gestisce la label non fa questo di lavoro. E che quindi non ti possa portare dei risultati.
Nel mondo di oggi si presentano come produttori solo quelli che si autoproducono dischi di musica elettronica. Nel mondo del Rock il Produttore, non si sa perchè, identifica una figura non musicista, bensì finanziaria/tecnica, tra l'altro in esaurimento specie. Non esistono più i produttori, nel Rock. In realtà esistono, ma non vengono raccontati: vanno adombrati mediaticamente, se ne parla solo nei documentari di band passati alla storia (per poi scoprire che lo stesso Producer lavorava a più band di successo, magari anche in ambito Pop). Nei casi di band esordienti, invece, gli aspiranti Produttori tendono a evitare le etichette indipendenti: puntano direttamente alle major e, se falliscono, propongono alla band soluzioni alternative. Questa prassi è sbagliata, perchè ignora che le indipendenti possano avere contatti con le major...
Può essere l'ideatore del progetto, può essere quello che mette i soldi, ma è una figura che non può prescindere dall'accordo con una label. Il produttore è proprio colui che firma con la label. Si tratta di una prassi talmente convenzionata che, siccome la label di fatto svolge il ruolo di Produttore finale, quando il Produttore originale del disco firma con una label, in copertina viene citato come "Produttore Esecutivo". Succede da sempre.
Se il disco l'hai fatto tu, sei tu il Produttore. Se hai pagato uno studio sei un Produttore. E se sei così intelligente da rivolgerti ad una figura terza per fare un lavoro migliore, sia musicalmente che finanziariamente, significa che hai un Produttore. In ogni caso l'accordo fonografico avviene tra Etichetta e Produttore. La differenza la fa chi paga i servizi. In Miraloop, per esempio, la scelta di venire incontro agli artisti su diversi servizi possibili, è proprio affidata ad un Produttore, che rappresenta la label e che si riserva di stabilire come la label possa incontrare le esigenze dei gruppi o dei singoli.
Questa fake news è propagandata più che altro da alcuni giornalisti quando vogliono incensare un artista major, o molto sponsorizzato dalle major che, rarità, aveva un pubblico ancora prima di firmare un contratto. Succede tuttavia che poi il disco che gira non è mai una demo, è un disco fatto e finito con una Etichetta. Quindi di cosa stiamo parlando? Oppure questo mantra è di tutti quelli che ci stanno provando da soli. "Vado da solo, senza un'etichetta discografica."
La verità è che gli artisti di cui parlano tutti hanno sempre un team dietro che lavora molto e molto bene. Altrimenti non ne parlerebbero. Mica perchè il pubblico non sia abbastanza esperto di musica, è una questione di tempo a disposizione. Non tutti hanno ore e ore da spendere per cercare nuovi talenti. E hanno già di cui parlare da tutta la musica che arriva per radio, per televisione, dal web. Se arriva, qualcuno sta facendo un lavoro. E lo sta facendo bene.
Spesso negli ambienti musicali si dice che l'Etichetta "limiti" la libertà artistica. Questa è una follia, perchè in realtà succede l'esatto contrario. Liberare la libertà artistica è lo scopo finale di una label, se sa fare bene il proprio lavoro. Non confondiamo la compilazione discografica con un limite artistico. Generalmente, chi lamenta questa situazione, è perchè sta già copiando (in alcuni casi clonando) una soluzione artistica già rodata, affermata e presentata al mercato. Il primo motivo per cui gira questa voce è che i casi di successo hanno bisogno di copie amatoriali simili. In questo modo possono dire di essere loro i veicoli di questo successo. Gli esordienti spesso non se ne rendono minimamente conto.
Per farvi un esempio, considerate i generi musicali. I generi musicali sono uno strumento per raccontare un progetto al pubblico. L'artista non deve partire, come presupposto artistico, da questo strumento. Perchè non lo controlla lui, lo controllano le etichette.
Gli "artisti" che pensano di fare arte prendendo come riferimento una catalogazione discografica sbagliano in partenza, perchè la catalogazione discografica è un processo di marketing, quindi scientifico, e non artistico. La parte artistica avviene prima, nella valorizzazione e nella ricerca di un'identità e di una idea ben precisa del progetto. L'artista che dice di non aver bisogno di una etichetta "perchè faccio questo genere in particolare" sta già emulando una corrente senza neanche rendersene conto. Uno dei compiti della label è invece valorizzare il progetto, quindi portarlo ad una sua identità. Valorizzare significa innanzitutto dare valore. E dare valore significa innovazione. Se esiste una certa qual tendenza, nel mondo musicale, a ricreare un certo ambiente musicale, magari passato, questa non è che l'anticamera dell'hobbismo e dell'artigianato "fai da te", comunemente detto bricolage (o in dialetto bolognese, "ciappini")
Le Etichette Discografiche che NON hanno una mira artistica sono facilmente riconoscibili: hanno sempre un "roster" di artisti tutti dello stesso genere. Non avere obiettivi artistici non significa per forza fare brutta musica, anzi. Spesso chi fa musica già sperimentata collaudata sentita e risentita ha abbastanza riferimenti per produrre bella musica in grandi quantità. E ha quindi interesse a radunare progetti simili fra loro: la migliore musica jazz, indie rock, punk o EDM. Purtroppo queste "etichette" non solo sono la maggior parte, ma sono anche quelle più ricercate dai musicisti che scopiazzano, che fanno "un genere". E questo ha dato origine all'idea che un'etichetta sia l'unione di musicisti simili, o addirittura uguali.
Abbiamo messo questo punto per ultimo perchè nonostante sia sottile, è uno dei falsi miti più difficili da scardinare. Vi state chiedendo perchè? Perchè mentre a mettere in giro le voci di tutti i punti precedenti sono perlopiù soggetti estranei alle Etichette Discografiche, questo falso mito è propagandato proprio dall'attività della maggior parte delle Etichette, che spesso non sono gestite da artisti. Una label gestita da un'artista sarà invece riconoscibile proprio nel momento in cui raggruppa e racchiude nella sua ricerca una commistione di mondi completamente diversi. L'arte nasce dall'insieme di culture e mondi che si incrociano, non è mai autoreferenziale. Nella musica come nella pittura o nelle altre forme di espressione alta. Musicisti simili fra loro che fanno lo stesso disco non rientrano in una definizione di ricerca artistica, bensì di un tentativo commerciale di emergere. Fateci caso, i casi di successo sono invece sempre inseriti in contesti multiculturali. Basta guardare la diversità degli artisti major.