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Di Lorenzo Traggiai
Data di pubblicazione 01/02/2015
Che “sono in bianco e nero”, ovviamente. Esatto. Ma anche no.
“Bianco e nero” è una dicitura convenzionale che noi usiamo per indicare i film e le immagini in scala di grigi.
Questa è un’immagine in “bianco e nero”:
Mi rendo conto che leggendo questo cose mi avrete immaginato come un pignolo, ma attenzione che questo nostro piccolo “difetto” è in realtà sintomatico di un altro difetto, più grande, più pericoloso e altrettanto sottovalutato. Quello di vedere anche la realtà in questa maniera, o meglio, del sapere che non è così, ma volerla a tutti i costi vedere in quel modo per avere l’illusione di controllarla meglio, o per pigrizia, o non lo so.
“Le cose o sono bianche o sono nere, fine della storia”. Quante volte lo sentiamo dire, quante volte non ci rendiamo conto di cosa è stato appena detto!
E’ stata negata la realtà.
E’ stata negata la varietà infinita di esperienze che la realtà ci può offrire. E’ stato negato il tempo speso a scuola ad imparare cose nuove e affinare le proprie capacità intellettive. E’ stato negato il carico di libri che ci siamo letti dalla nascita ad un secondo fa. Sono state negate le persone con cui siamo venuti a contatto, nel bene e nel male. Sono stati negati i sensi che abbiamo in dotazione.
A cosa è servito che i nostri genitori spendessero i soldi per mandarci a scuola, per comprarci i libri, per mandarci in vacanza, a cosa è servito uscire, conoscere gente nuova, innamorarsi, scopare, piangere, vedere, toccare, gustare, sentire, ridere, ascoltare musica, alzarsi la mattina, respirare? A cosa è servito, potevamo starcene a casa a letto e farci attaccare una flebo fino alla fine dei nostri giorni, no? Tanto se il mondo è tutto bianco o nero/liscio o gassato/così o pomì…
La musica, poi! E’ come dire che esistono solo due note, due tempi, due ritmi, due generi musicali, due artisti, due strumenti, due modi di suonare, opposti tra loro. E in mezzo niente. Voglio dire, ce la vedete la musica a essere in questo modo? Ce la vedete l’arte in generale? Così sarebbero durate un quarto d’ora, non tutto questo tempo. Plìn-plòn, plòn-plìn. Fine. Smonta tutto che andiamo.
Ecco, negare la varietà della realtà è dire addio a quel bel filoncino musicale di nicchia che ti fa impazzire e ti tiene compagnia in viaggio, ad esempio. O a quel musicista bravissimo che usava quello strumento strano suonando le note dispari nelle battute pari e viceversa.
E’ come dividere le persone in buone e cattive. Una persona solo buona o solo cattiva non è reale, è piatta. Difatti certa gente non esiste fuori dalla finzione del cinema, della letteratura, del teatro. E non potrebbe essere altrimenti: ciò che esiste davvero non può essere “completo” in nessun senso, proprio perché è reale. Nessuno sarà mai totalmente cattivo o totalmente buono. Così anche tra gli oggetti: poiché fatti dall’uomo, non raggiungeranno mai la perfezione, se va bene ci andranno vicini; anche l’apparecchiatura più sofisticata e completa ha UN difetto. Minuscolo, ma ce l’ha. Perché costruita da esseri non perfetti.
Una volta, discutendo con me, una ragazza mi disse: «Ma allora, che situazione è la nostra! Deciditi, o bianco o nero, non mi piacciono le scale di grigi!!». Bella la vita eh? A questa signorina “non piacciono le scale di grigi”. Peccato, perché alla scala di grigi ci vivi dentro e si chiama realtà. Non ci piace, è normale che non ci piaccia, è scomoda perché è più grande di noi, quindi incontrollabile. Non riusciremo mai a sapere, a vedere tutto, e quando anche arrivassimo a imparare il nome dell’ultima specie animale, dell’ultima varietà di piante, dell’ultima sfumatura di colore rimasta, ecco che ne salterebbero fuori altre, nuove, diverse. Non parliamo poi delle persone. Ognuno di noi è unico (il mondo non si “divide in due”, come dicono in tanti), se al mondo siamo 7 miliardi allora esistono 7 miliardi di tipi di persone diversi, ognuno con la sua personale combinazione di caratteristiche.
Direi che arrendersi all’evidenza è più che logico. Ma non è un’arrendersi vero è proprio, è un ammettere la propria inferiorità che fa onore (siamo anche noi parti di un tutto, non possiamo pretendere di avere quel tutto sotto controllo), è capire che siamo limitati e che in certi casi, invece di cercare di nasconderlo a noi stessi è meglio approfittarne per imparare una lezione nuova.
Lorenzo Traggiai